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L'ultima chiamata - Sentimenti

 
Si sentiva di merda. Così le aveva detto al telefono: “Mi sento di merda”.

Sapeva benissimo che lei odiava le “parolacce” - le chiamava ancora in questo modo, in stile chierichetta anni Cinquanta. Ma nonostante questo, non era riuscito a trattenersi e le aveva espresso il proprio disagio usando quell’espressione. Era quella esatta. Perché usarne una diversa? Perché costringersi ad essere educati e politicamente corretti anche quando l’Io interiore urlava e strepitava per dire le cose dirette, limpide, come stavano veramente?

Qualche frase sconnessa. Forse chissà, l’aveva mandata anche a quel paese ma non lo ricordava proprio. Poi aveva riattaccato. E ora ascoltava in silenzio, guardando fisso il soffitto, il trillo fastidiosamente alto del telefono che riempiva l’appartamento. Continuo, ininterrotto. Era di nuovo lei, lo sapeva, ma non aveva voglia di parlarle. Che cazzo voleva poi? Non aveva già fatto abbastanza danni così?

Aveva perso un mese. Si era svegliato quella mattina e aveva guardato il calendario: 30 Settembre. La grossa scritta rossa per ricordargli che era proprio il 30, ed era proprio Settembre, l’aveva risvegliato dal suo torpore non senza una buona dose di incredulità. Ma se era giusto il 30 di Agosto un giorno prima? Lo stesso stramaledetto giorno in cui lei, dopo quattro anni, si era accorta che “non potevano più andare avanti così”.

Aveva davvero perduto un mese della sua vita a piangere e a frignare perché quella stronza lo aveva lasciato? Aveva davvero avuto un crollo psicofisico, si era davvero chiuso in casa lasciandosi vivere, finendo le scorte del frigorifero e della dispensa, andando avanti a pane e acqua? Aveva davvero subìto di continuo le sue telefonate, puntuali, ogni giorno alla stessa ora per ascoltare la solita domanda inutile, quel “come stai” che lo mandava in bestia? Non gli sembrava vero.

Come stai... “Come vuoi che stia”, avrebbe voluto risponderle. “Sto male”? “Mi manchi”? “Non riesco a stare senza di te”? “Così non posso vivere”? “Com’è potuta finire tra noi”? Cadendo in basso, giù, sempre più giù sino a toccare il fondo, e da lì iniziare a scavare ancora, per cercare chissà che cosa. E invece non le rispondeva nulla. Se ne stava zitto ad ascoltare i suoi pianti, come se fosse stata lei ad essere lasciata, o lei ad essere stata tradita, ferita, abbandonata. Era così piena di se stessa che non si accorgeva che le sue telefonate erano peggiori di tutto il resto. Come un coltello nervoso e impietoso che girava e rigirava nella sua piaga aperta.

Si sentiva in colpa. Ma era contenta così. Non aveva nemmeno avuto il coraggio di tagliare i ponti: “rimaniamo amici” aveva detto. Ma come amici? “Mi hai detto ti amo fino al giorno prima, e ora mi vieni a dire che vuoi semplicemente amicizia?”. Non poteva andare avanti in quel modo. Ma nonostante questa consapevolezza, aveva perso un mese. Invece di farsi una vacanza si era chiuso in casa, aveva disdetto il viaggio per non pagare anche la quota di lei. Doveva essere la vacanza che premiava i loro quattro anni d’amore, quella. L’avevano scelta con cura. E lei aveva avuto la brillante idea di lasciarlo a qualche giorno dalla partenza. Un tempismo perfetto.

Ma ora basta. Era il momento di mettere una pietra sopra a quella storia. Morta, finita, conclusa, esaurita. Si alzò dal letto quando il telefono ancora squillava. Alzò la cornetta, la appoggio all’orecchio. Rimase in ascolto. Dall’altro lato del filo una voce timida e sottile chiedeva “Mi senti? Mi stai ascoltando?”. Non rispose. “So che mi stai ascoltando. Volevo solo chiederti come stai e se ti è passato lo stress di prima, non hai avuto una reazione gentile nei miei confronti”. Reazione gentile? Non voleva essere affatto una reazione gentile. Era stata semplicemente una reazione umana. Attese qualche secondo poi parlò.

“Sara...” Lei rimase come sospesa, trattenendo il fiato.

“Vaffanculo, Sara”. E riattaccò. Non sapeva come né perché, ma sentiva di stare meglio. Si fece una doccia, si vestì alla meglio e uscì: il frigorifero e la dispensa avevano bisogno di essere riempiti di nuovo. Era ora.




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