La notte dei fuochi - Eros Storico |
Era finalmente arrivato il tramonto. All’improvviso si spensero uno ad uno i fuochi nelle case, in attesa del buio della notte. Mai dovevano estinguersi le fiammelle domestiche, ma quella era una notte speciale. Era la notte dedicata al passaggio verso la Grande Luce dell’estate, era la notte che segnava il tempo della fine dell’inverno e l’inizio della Metà Chiara dell’anno. La notte di Beltane. Toraigh aveva assistito, durante la vigilia della festa, alla preparazione dei due grandi falò rituali che sarebbero serviti per purificare gli uomini e le greggi, gli stessi falò che anche lui, come tanti suoi coetanei, avrebbe dovuto saltare per propiziarsi la fortuna. Per Nimue era disposto a tutto, e gli dèi solo sapevano quanta paura aveva del fuoco: ma quella notte la Madre Terra doveva sostenerlo e portargli tra le braccia la ragazza che desiderava da tempo. Lo voleva fortemente, con tutto se stesso.
Quando il sole svanì dietro l’orizzonte, i druidi incappucciati e riuniti sulla sommità della collina iniziarono a salmodiare a bassa voce un canto mentre osservavano le fiamme alzarsi sempre più alte verso il cielo: gli uomini e le donne poco lontano osservavano il rito in religioso silenzio, tenendosi per mano, stretti in un caldo abbraccio e invocando nella loro mente l’aiuto e la protezione della Dea. Così la terra ritornava alla vita e alla fecondità. D’un tratto, i druidi smisero di pregare e fecero cenno ai pastori e agli allevatori di portare avanti le pecore e gli altri animali, indicando loro di farli passare attraverso le porte di fuoco per la loro purificazione e per proteggerle durante tutto l’arco dell’anno: le bestie, impaurite dalle lingue roventi, in un primo tempo fecero resistenza, ma con qualche urlo deciso e qualche pacca sul dorso si infilarono correndo tra i due falò e arrivarono dalla parte opposta sane e salve. Gli uomini le inseguirono per fermarle gridando ordini ai cani che erano molto utili in quei frangenti, perchè il bestiame non si perdesse e rimanesse riunito in un sol punto. Un’esplosione di gioia ci fu tra gli spettatori che col fiato sospeso erano rimasti a guardare il rito benaugurante: ora toccava a loro. Gli uomini e i ragazzi iniziarono a saltare i falò accompagnandosi e caricandosi con urla e risate, pensando a quanto sarebbe stato più divertente a notte fonda, se la Dea li avesse baciati e benedetti. Le donne presero una piccola fascina di stecchi e si avvicinarono ai falò, rubando ciascuna una fiamma sacra: si avviarono alle loro case, decorate per l’occasione con rami di biancospino, per riaccendere i fuochi domestici. Tra loro c’era anche Nimue, una delle più belle fanciulle del villaggio: Toraigh ne era rimasto affascinato sin dal primo giorno che l’aveva vista. Erano piccoli, allora, ma da quel momento non era più riuscito a pensare ad altre che a lei. Ora si era trasformata in una splendida ragazza, e le altre le invidiavano i suoi capelli d’oro lunghi e folti, la sua vita stretta, i fianchi dolci e i seni alti e sodi. Era intoccabile perchè era la figlia del capo. Ma questo a Toraigh non importava. Le rivolse un lungo sguardo mentre l’osservava allontanarsi, e Nimue dovette sentire i suoi occhi su di sé perchè d’improvviso si girò per guardare nella sua direzione. Fu un attimo, un momento soltanto. Ma dalla scintilla che vide brillarle nei suoi laghi azzurri Toraigh capì che forse quella notte magica poteva regalargli una speranza. Si voltò con decisione per sfidare il fuoco, prese un lungo respiro e si lanciò di corsa verso la catasta rovente. Spiccò un salto e scomparve tra il fumo e le fiamme, mentre Nimue guardava incapace di respirare. La madre la strattonò per il vestito e le disse di affrettarsi o il fuoco avrebbe bruciato tutta la fascina prima di arrivare a casa: bisognava pensare prima di tutto alla sacralità e alla benedizione degli dèi. Ma la ragazza non la sentiva più. Le affidò i rametti infischiandosene delle sue prediche e rimase a guardare il falò dentro cui Toraigh sembrava scomparso, inghiottito dalle fiamme. Quando lo vide riemergere correndo e ridendo felice, scambiandosi pacche di approvazione e di incoraggiamento con gli altri uomini, seppe che era la Dea a portarglielo in dono. E la ringraziò a lungo per quella benedizione. Nella radura si festeggiava con canti e balli, aspettando il momento più atteso. Gli innamorati si guardavano negli occhi pregustando la notte che avrebbero trascorso insieme, soli, nella foresta. Gli sguardi infuocati e pieni di desiderio dei giovani ricordavano agli adulti e ai vecchi i tempi passati. Nimue arrivò accompagnata dalla madre e cercò Toraigh, che se ne stava tutto solo e impaziente seduto su un grosso masso, all’estremità del luogo verde e illuminato dalla luce del grande fuoco al centro. La ragazza lo raggiunse e si sedette con lui, si scambiarono qualche parola, si imboccarono a vicenda e non badarono alle occhiate nervose che il padre della fanciulla rivolgeva loro. La madre, che aveva capito da molto tempo e si compiaceva dei gusti della figlia, trovò il modo di distogliere le attenzioni del marito dalla giovane coppia e lo invitò a immergersi nella boscaglia, lontano da occhi indiscreti. Il rito della fecondità era troppo importante e non poteva essere rimandato a causa delle pretese o delle gelosie paterne. Per Nimue era la prima volta con un uomo. Era per lei già avvenuto il passaggio dalla fanciullezza alla vita adulta e l’imene era già stato lacerato per godere delle gioie del letto, ma dentro di sé sentiva crescere l’ansia insieme al desiderio di sapere che cosa avrebbe provato quella notte. La Dea vegliava su di lei e lei la invocò a lungo nei suoi pensieri, mentre il suo sguardo si perdeva in quello di Toraigh. Ciò che l’aveva colpita di lui era la sua flessuosità che lo rendeva il più abile del villaggio a cavalcare: sembrava nato per essere un grande condottiero, era forte e scaltro, anche se la malinconia velava sempre i suoi occhi da quando aveva perduto la madre. Le piaceva e, forse, ne era innamorata. Toraigh prese Nimue per mano e le fece capire che nel posto dove si stavano dirigendo non doveva fare alcun rumore: nemmeno un respiro, o sarebbe stato fatale. L’avrebbe portata in un luogo proibito dove avrebbero potuto assistere al rito che permetteva al sacerdote e alla sacerdotessa di richiamare le energie della Madre Terra per fecondare e produrre di nuovo la vita, dopo il rigore e la morte invernale. La ragazza tentò di fare resistenza, ma quando Toraigh la baciò sentì sciogliersi qualcosa dentro di lei e si decise a seguirlo. Camminarono per un po’ e Nimue si lasciò guidare tra gli alti cespugli e le fronde delle querce e delle betulle, fino a che non iniziò a intravedere un leggero chiarore in lontananza. Toraigh le diede un lieve bacio sulla guancia, e le sussurrò di fare attenzione. Quando giunsero al loro punto di osservazione, al sicuro dietro a un grosso albero di faggio, erano a poca distanza dal recinto sacro. Nimue trattenne il fiato e spalancò gli occhi: stava per assistere all’unione proibita agli occhi dei comuni mortali. Il sacerdote, che rappresentava il dio e la forza maschile, si sarebbe unito in quella notte magica con la sacerdotessa, portatrice della forza femminile e ambasciatrice della dea: era lei la prescelta per essere il veicolo divino, per manifestare sulla terra le energie creative della nuova stagione luminosa e feconda. Era una cerimonia che nessuno poteva arrischiarsi a vedere, e c’erano pene corporali per l’infrazione di questa regola, si rischiava addirittura la morte. Nimue al pensiero non riuscì a trattenere un brivido. Toraigh si mise alle spalle della ragazza e la abbracciò, intento a guardare nella radura scelta dagli dèi, circondata di sassi di media grandezza e disposti in cerchio: non erano altissimi e permettevano ai due ragazzi di osservare, ma erano massicci e davano sensazione di potenza e fermezza. Il chiarore del falò al centro perfetto del cerchio illuminava due figure che indossavano una tunica bianca e si osservavano, l’una opposta all’altra, camminando lentamente in senso orario e tenendosi sempre alla stessa distanza. La figura più imponente indossava una maschera sulla cui sommità v’erano due lunghe corna lucide, che emanavano bagliori sinistri. D’un tratto, questa si tolse la tunica, mostrandosi completamente nuda: Nimue poteva vedere i muscoli torniti e ben definiti delle braccia e delle gambe, la schiena larga e il sedere possente. Poteva capire che era un uomo anche se le dava le spalle. Specularmente, anche l’altra figura lasciò cadere la tunica: la sacerdotessa si mostrò in tutta la sua fiorente bellezza. I capelli rossi e ondulati le sfioravano le natiche, il ventre era morbido come amavano gli dèi della fecondità, ed era adornato da un ombelico perfetto. I seni sodi e abbondanti e i fianchi larghi accarezzati dalla luce del falò la rendevano attraente ed eccitante, e Toraigh sentì che stava per avere un’erezione contro la sua volontà: si staccò da Nimue impercettibilmente e continuò a guardare la scena nel silenzio più assoluto. La ragazza era come ipnotizzata: si immaginava che cosa sarebbe successo di lì a pochi istanti. Nel recinto i due continuarono a studiarsi e a camminare in senso orario, e quando il sacerdote si mostrò di profilo, Nimue vide che aveva il membro eretto. Era giunto il momento. La sacerdotessa si girò e si piegò in avanti, lui la raggiunse e le infilò un dito tra le cosce. Sentì che era umida e si spinse dentro di lei tenendola forte con le mani sui glutei, senza trovare resistenza alcuna. Iniziò l’accoppiamento, fremente e infuocato, del re d’estate, del dio cornuto con la sacerdotessa: i ragazzi sapevano che le corna erano simbolo di potenza e di abbondanza, e osservavano a bocca aperta la danza delle due personalità sacre che col loro atto incarnavano la forza della procreazione e portavano sulla terra la rinascita. Quando la donna iniziò a gemere sotto ai colpi dell’uomo, Nimue sentì un senso di calore nel bassoventre e capì che il suo sesso si stava aprendo come un bocciolo di rosa. Si sporse indietro appoggiandosi a Toraigh e percepì il suo gonfiore sulla schiena. Emulando la sacerdotessa e senza mai distogliere gli occhi da lei, si piegò leggermente in avanti e lasciò che il ragazzo le sollevasse la gonna fino alla vita: Toraigh si intrufolò dentro di lei, percependo una leggera resistenza, ma ad ogni movimento del bacino la fessura si faceva sempre più accogliente ed invitante. Nimue sentiva il sesso di lui farsi strada nelle sue carni, il dolore inatteso che si mescolava col piacere, e questo che cresceva sempre di più, trionfante e vincitore. I due ragazzi non potevano gemere o gridare, e fecero l’amore per la prima volta nel silenzio assoluto, lasciandosi cullare dai sospiri e dalle immagini dei due sacerdoti che compivano l’atto assoluto. Fino alla fine, quando Toraigh gettò il suo seme dentro Nimue e l’uomo sacro fece lo stesso con la sacerdotessa. Si lasciarono andare sull’erba, sotto all’albero, sorpresi ed esausti ma attenti a non essere scoperti. Il ragazzo coprì entrambi col mantello mentre a qualche passo di distanza i rumori, i gemiti e le voci piano piano cessavano e si allontanavano, lasciando il fuoco e la radura senza custodi. Nel buio e nell’assenza di suoni, cullati dal lieve scoppiettare della legna che man mano bruciava e si trasformava in cenere, Nimue e Toraigh si abbracciarono e scivolarono nel sonno stretti l’uno all’altro. Fu il cinguettio degli uccelli a risvegliarli, all’alba. Il ragazzo si stropicciò gli occhi e accarezzò la guancia di lei. Nimue raccolse dall’erba e si bagnò il viso con la rugiada del mattino di Beltane, perchè si diceva che facesse fiorire la bellezza di una donna per tutto l’anno, e lei lo credeva fortemente. Poi, si alzarono e si diressero nuovamente verso il villaggio: avevano indugiato troppo nel bosco ed era ora di tornare a casa. Quella notte la fiammella di una nuova vita si era accesa in Nimue, e un nuovo figlio di Beltane sarebbe arrivato all’inizio della primavera.
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