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La consegna - Storico

 
Da un mese soltanto l’Appennino reggiano si era liberato dalla morsa del gelo, il primo sole di Marzo regalava un tepore che pareva dimenticato durante il lungo periodo invernale, ma il vento sferzante costringeva ancora i contadini a coprirsi come potevano, con tessuti pesanti e calzari di cuoio: la luce riscaldava gli animi, ma non era ancora abbastanza per riscaldare il resto, in quei primi mesi dell’anno del Signore 1080.
C’era fermento nel piccolo borgo: il messo del vescovo Adalberto era passato a ritirare le decime dovute. “Che il Signore Vi benedica, ricordate che la Carità porta alla salvezza eterna!” e chissà che qualcuno non lo ascoltasse, donando somme più generose da poter intascare all’insaputa dei superiori. Mentre pronunciava la solita cantilena, tutto preso dal suo lavoro, non si accorse della mano lesta che frugava nella bisaccia appesa alla schiena del suo fidato asino. Men che meno, sentì quelle dita nervose e svelte sottrarre qualche moneta tintinnante dal mucchio destinato alla Santa Madre Chiesa. Ignaro, continuò a far suonare la campanella, con fare lento e fiacco.
Il ragazzino si bloccò: aveva fatto solo qualche passo, cauto, credendo di essere passato inosservato, invece la giovane fanciulla lo guardava indispettita, ritta davanti a lui, le mani sui fianchi snelli. L’amara sorpresa lasciò posto allo smarrimento: il suo viso avvampò di vergogna, con le labbra serrate abbassò gli occhi di colpo, sulla polvere della strada; la gente affaccendata lì intorno con forconi e bestiame non s’era accorta di nulla... ormai era tardi per cercare una via di fuga, dove avrebbe potuto scappare poi... immaginava già quante botte avrebbe buscato da sua madre non appena avrebbe saputo.
“Bisogna essere due volte abili per poter rubare ai ladri. Che ti serva di lezione.” Il tono secco, quasi rigido contrastava con la sua voce cinguettante. Quando sollevò lo sguardo, stupito, la vide strizzargli l’occhio, e solo allora il suo viso si rilassò, aprendosi in un timido sorriso. “Enrico... ti hanno dato un nome adeguato: pare proprio che a coloro che lo portano piaccia togliere pesi e oneri ai nostri sant’uomini... saranno i tempi...” rise, “ma bada, che sia l’ultima volta: gli errori si pagano cari”. Questa volta parlò seriamente. Enrico annuì. “E ora avanti! Aiutami a caricare i panni sul carro, così potrai dire di essertele guadagnate, quelle monete, quando arriverai a casa da Ilde.. forse potrà prendere il medicamento che serve alle sue povere gambe”.
Adelaide sentiva di aver fatto la cosa giusta. Proprio non sopportava quella gente che si faceva grande con le parole di Cristo: le usava solo per riempirsi la pancia di giorno, e il letto la notte. Se il vescovo o, peggio, i suoi zelanti servitori fossero rimasti a corto di qualche moneta, questa
volta, non sarebbero comunque andati in rovina. E Ilde avrebbe risolto il problema coi suoi reumatismi, una buona volta: sapeva che i suoi dolori erano peggiorati, e ormai le impedivano di lavorare col marito nei campi. La rigidità degli inverni e l’umidità che avevano da quelle parti di certo non la aiutavano. “Questo è l’ultimo” disse, sbuffando. Enrico la guardò sorridente, non riusciva a nasconderle la sua riconoscenza per aver deciso di tacere l’accaduto. “Sarà il nostro segreto” sussurrò lei, ammiccando complice.
Il carretto ormai era pronto: Adelaide diede un’ultima occhiata al carico per assicurarsi che fosse saldo, poi salutò il suo giovane, inaspettato aiutante e salì sulla groppa dell’asino; la consegna era prevista per la sesta ora, verso metà giornata, non poteva tardare troppo a partire. Se fosse arrivata in ritardo, che figuraccia avrebbe fatto... si sarebbe giocata anche altre eventuali commissioni: aveva bisogno di lavorare e, quel che più contava, era un onore farlo per Matilde. Avrebbe sicuramente aumentato la sua fama e i suoi onorari futuri. Schioccò la lingua, diede un lieve calcio sul fianco dell’animale e si mise in cammino verso la Rocca della Marchionissa.
La via principale che collegava le terre e i castelli della sua Signora era infinita, punteggiata di piccoli centri abitati, molto frequentata in quel periodo dai fittavoli che, lasciate da parte per qualche tempo le fatiche del raccolto e della vendemmia, si dedicavano all’attività della caccia e alla ricerca dei frutti spontanei della foresta, prima di prepararsi di nuovo per l’aratura e la semina. Adelaide non aveva la minima idea dell’estensione del territorio a cui Canossa faceva capo, ma un amico del padre originario di Castellarano, che si occupava di importanti affari e viaggiava tantissimo le aveva detto una volta che era molto grande: talmente grande che era reso fertile da ben tre fiumi, ne facevano parte tante città antiche come Modena con le sue vestigia romane, Nonantola coi suoi monaci e la sua abbazia, e arrivava a nord fino a comprendere Carpi con i suoi carpini e la sua grassa terra, poi più sù a lambire Mantova che a volte sfuggiva al suo controllo, e giungeva talmente tanto a sud che sfiorava Firenze... o era Arezzo? Non ne era certa ma sicuramente se avesse saputo dove si trovavano e quanto lontane erano avrebbe potuto farsi un’idea: si era limitata ad aprire la bocca stupita mentre lo ascoltava, facendo la figura dell’ignorante, ma tanto che altro avrebbe potuto dire? Lei non s’era mai mossa da Bibbiano, che ne sapeva lei di quanto era grande il mondo? Mentre la sua Signora era potente, l’aveva più volte dimostrato; soprattutto teneva alla pace, permettendo alla gente come lei di vivere decentemente, questo era davvero importante. Quanta terra avesse non le interessava poi troppo.
Adelaide era abbastanza conosciuta nella zona: la sua abilità di filatrice e sarta ereditata dalla madre le aveva procurato un nome, le aveva permesso di trovare committenti altolocati e in grado di pagare ingenti somme, con le quali poteva mantenere un piccolo filatoio e un numero discreto di aiutanti. Era riuscita a vincere le resistenze del padre, che la voleva maritata, e soprattutto la diffidenza della gente, che non aveva preso subito di buon grado una donna che lavorava, indipendente, senza una guida maschile: lei aveva dimostrato a tutti di essere in gamba, di non essere una di quelle malae feminae che popolavano i detti e i proverbi sulla casa e la famiglia, e aveva anche un sacco di corteggiatori. Nel suo piccolo, le bastava.
Stretta nel mantello di lana grezza, osservava il paesaggio: la bruma, che sovente visitava l’Appennino nelle primissime ore del mattino, aveva lasciato un bel ricordo di sè sulle colline verdeggianti di fili d’erba nuova e la rugiada impreziosiva i primi fiori. Gli alberi si preparavano ad accogliere le gemme che spuntavano già numerose. Tutto brillava, preludio all’esplosione della primavera.. che però sembrava ancora così lontana... La fanciulla si scosse dal filo dei suoi pensieri: il suo piccolo villaggio distava circa due ore di viaggio dalla rocca dove la aspettava la sua Signora. Era dura affrontarlo sul finire dell’inverno, quando ancora il vento si insinuava e soffiava tra le gole e i boschi della marca, ma era necessario adattarsi alle richieste dei potenti per sopravvivere. Diede una pacca sul posteriore dell’animale per indurlo ad aumentare l’andatura e si mise a sbocconcellare un piccolo pezzo di pane scuro che aveva con sè. Un rumore lontano di pesanti zoccoli la distolse nuovamente dalla tranquillità, riportandola al mondo reale.
Erano cavalli da guerra, lanciati al galoppo da uomini armati. Adelaide sentì una fitta di paura allo stomaco, accostò il carretto più che potè sul ciglio della stradina, e si fermò in attesa la superassero. Potè vederli arrivare: erano meno di una dozzina, cavalcavano vicini e in formazione, imponenti e lucenti nelle loro armature, portavano lunghe lance e insegne che non riuscì a riconoscere nemmeno quando le passarono accanto. D’istinto chiuse le palpebre e si coprì il viso con un lembo del mantello per proteggersi dalle piccole zolle di fango, sollevate dalla folle corsa dei cavalieri. Sentì forte lo spostamento d’aria e l’odore acre del sudore degli immensi destrieri, abituati alle battaglie più cruente. Il forte rumore degli zoccoli sul terreno le lasciò una fastidiosa sensazione alle orecchie. Sparirono dalla sua vista così come erano apparsi, quasi fossero una visione. “Qualcosa bolle in pentola” sussurrò tra sè, sentendosi addosso una strana sensazione. Poi si rimise in cammino, massaggiandosi il lobo sinistro.
* * *
Forse era stata davvero costruita dal Maligno come raccontava la leggenda. Incuteva timore, su quel bianco masso calcareo, stagliandosi tra le colline e il cielo, circondata da secolari querce nodose: in estate formavano una macchia talmente fitta che la fortezza pareva quasi fluttuare su di essa. Adelaide ebbe un fremito: ogni volta che vi giungeva, la giovane tessitrice si soffermava ad ammirarla, prima un puntino in lontananza, sempre più vicino, poi sempre più grande, fino a quando non assumeva i contorni nitidi e ne poteva riconoscere, una dopo l’altra, le tre cinta merlate che proteggevano la Marchionissa, i suoi sudditi, a volte i suoi vassalli, spesso il suo amato Papa. Entrò nella prima cerchia, accolta dall’atmosfera e dai profumi del borgo: era giorno di mercato e nel quartiere popolare tutti, abitanti e stranieri, si davano un gran d’affare per attirare clientela alle loro bancarelle di pane, frutta, legumi, carni seccate, tessuti sgargianti, cuoio e altri generi d’uso quotidiano mentre alcuni ragazzini scalmanati si rincorrevano facendo un gran baccano, cercando di evitare la gente e gli schiaffi delle loro madri. La taverna poco lontano al ponte levatoio traboccava e alcuni avventori erano costretti a starsene fuori a parlare del più e del meno, a darsi pacche sulle spalle o a litigare, mentre bevevano un bicchiere di rosso. La ragazza si mantenne sulla strada, riconoscendo e salutando di tanto in tanto qualche viso noto e dirigendosi verso la seconda cerchia. La superò e si trovò nell’acquartieramento militare, tra i rumori delle fucine e delle martellate dei fabbri sul metallo e dell’acqua fredda sfrigolante. Si chiuse le orecchie alle imprecazioni di chi è abituato a non pensare troppo a Dio, ma più a salvarsi la pelle in battaglia, attraversando la zona senza badare agli apprezzamenti verbali di alcuni soldati sfaccendati, e arrivò finalmente all’ultima cerchia, incitando l’asino: “Avanti Lillo, avanti, siamo arrivati! Forza!” scese dalla groppa dell’animale, prese le briglie e si preparò ad affrontare la dura salita che portava entro le mura più interne. Vedendolo recalcitrante e stanco cominciò a tirargli il muso, guardando in alto, e si accorse di alcuni arcieri osservarla dietro ai merli con aria minacciosa. Estrasse una mezza carota dalla tasca e l’animale cambiò d’improvviso idea, seguendola docile per la ripida strada; finalmente arrivarono alla sommità dove li aspettavano i soliti controlli per poter accedere al cortile che portava ai magazzini. Ma c’erano movimenti strani, diversi dal solito, oggi. Leggermente accaldata, Adelaide si guardò attorno e riconobbe accanto all’abbeveratorio gli splendidi palafreni che l’avevano superata al galoppo quella mattina. Un garzone li teneva tranquilli con un po’ di biada; vedendola le fece un cenno col capo. “Salve, da molto non vi vedevo da queste parti...” la ragazza stentò a riconoscere nel giovane adolescente il figlio del magazziniere, e leggermente stupita lo salutò: “Sigfrido, sei tu!? Sei cresciuto un sacco dall’ultima volta che ti ho veduto!”. Il garzone di rimando le regalò un sorriso un po’ sdentato, ma orgoglioso: “E’ passato un intero inverno, sono grande ormai!” e col suo ammiccamento lasciò intendere ben altro... Adelaide nicchiò, sorrise educata ma un po’ imbarazzata, e gli chiese della tuttofare. “Se cercate donna Brunilde per la consegna” indicando la merce nel carro “potete trovarla negli alloggi”. La giovane ringraziò. “Credo che oggi dovrete avere più pazienza del solito però...” aggiunse, “c’è fermento nel castello... non credo abbiano portato buone nuove stamane.”
* * *
Il giovane monaco guardava la fanciulla dalla feritoia che dalla grande sala del Consiglio del Palazzo marchionale dava sul cortile interno: distratto e assente la vide tirare le briglie di canapa con aria smarrita per convincere il suo asino a portare il carretto pesante e ricolmo, probabilmente verso il magazzino o gli alloggi; sì, doveva essere così. Era la prima volta che la vedeva da queste parti. Scomparì dalla sua vista mentre si chiedeva che cosa fosse venuta a consegnare, e quanta strada avesse fatto. No, lui non era adatto per assistere alle riunioni politiche, ogni cosa per lui era motivo di distrazione, eppure lo costringevano sempre a partecipare, col cappuccio abbassato, le mani incrociate, le dita strette forte l’una all’altra: non riusciva a resistere alla tentazione di estraniarsi e seguire i propri pensieri... anche se questa volta la faccenda era seria. Ma in fondo, che cosa avrebbe potuto dire, o fare? Il suo sguardo passò dal cortile all’interno della sala, abituandosi al leggero cambio di luce: dal suo angolino alle spalle del Padre, l’abate del monastero di Sant’Apollonio, poteva osservare tutto silenzioso i presenti e il profilo della più bella creatura che avesse mai visto: assisa sul trono, le grazie avvolte da un abito blu come le notti invernali, unica stella brillante e mai offuscata, Matilde ascoltava attenta il suo vassallo, turbata in volto, le labbra serrate. Soffriva, lo si capiva bene, forse per il tradimento del cugino, forse per i suoi sforzi finiti in nulla, per la sua povera gente che abbisognava della pace o per tutte quelle cose assieme. La tentazione era troppo forte: quella donna aveva un fascino che non riusciva a spiegarsi... spesso aveva sentito il confratello Donizone tesserne le lodi, ma aveva dovuto vederla coi propri occhi per capire fino in fondo a che cosa si riferiva; di colpo e senza rendersene conto si ritrovò a immaginarla sotto di sè fasciata da un drappo trasparente, che nulla nascondeva, e per la sorpresa di quel pensiero proibito lo colse un capogiro talmente violento che perse l’equilibrio e cadde a terra, trascinando nella sua caduta l’armatura ornamentale a cui aveva tentato disperatamente di appigliarsi all’ultimo momento per evitare il dramma. Il rumore fu così assordante che tutti i presenti si volsero di colpo a vedere che cosa fosse successo, con gli occhi fuori dalle orbite per lo spavento: spavento che si trasformò in furore non appena videro il giovane mezzo sepolto sotto a una catasta di ferrame ammaccato. Il monaco, ripresosi, si sentì gli occhi dell’intera sala addosso e arrossì senza fiatare, consapevole del suo duplice peccato: si sarebbe confessato alla prima occasione, ma subito avrebbe cercato di rialzarsi facendo il minor rumore possibile. Cosa alquanto ardua vista la situazione. L’abate non sapeva che dire nè come scusarsi, ma la Marchionissa ruppe l’imbarazzo che era calato in sala interrompendo pacatamente la riunione per qualche minuto, per lasciare la possibilità al monaco di districarsi dai pezzi d’armatura e ai servi di rimettere in ordine. Si alzò in silenzio dal trono e si diresse verso l’uscita in cerca di donna Brunilde.
* * *
Adelaide se ne stava seduta sul carretto, in attesa che qualche buon’anima venisse a dirle qualcosa: era un bel po’ che aspettava e come se non bastasse aveva un sacco di cose da fare a casa, la strada di ritorno era lunga. D’un tratto sentì delle voci dietro la porta che dava alle stanze vicino al magazzino: scese silenziosamente dal carro e si avvicinò appoggiando l’orecchio per ascoltare. Non riusciva a sentire bene, così scostò il chiavistello e spinse leggermente con la mano per aprirla quel tanto da permetterle di capire chi stesse parlando e di che cosa. Nascosta dietro allo stipite, guardando nella fessura con un solo occhio per non farsi scoprire, vide una dama di spalle vestita con un abito lungo di un blu intenso, e rimase colpita dal colore brillante della stoffa... avesse avuto lei gli strumenti per creare cose del genere nel suo laboratorio, altro che lino e lana candidi, chissà che successone avrebbe avuto con gli acquirenti! I capelli di un biondo rossiccio le sfioravano liberi i fianchi ed erano impreziositi da un nastro dello stesso colore dell’abito. La donna spiegava qualcosa a Brunilde in una lingua che Adelaide non capiva, qualcosa di urgente e importante.. almeno così le sembrava, vista la faccia che questa faceva, pareva l’avesse appena morsa un gatto arrabbiato! Sembrava quasi che la stesse rimproverando. Per evitare guai, la ragazza richiuse zitta e in fretta la porta e tornò al suo posto, esattamente dove doveva stare. Di guai ne aveva già abbastanza, senza doverne aggiungere altri per la sua imprudenza. Si era appena messa a sedere, quando sentì il tintinnio del chiavistello e lo scricchiolio del legno: vide passare alcuni servi che portavano carne secca nella ghiacciaia, e subito dopo donna Brunilde. “Era ora” pensò tra sè, blandendola con un sorriso. Costei non la calcolò e le fece cenno sgarbatamente di mostrarle la merce. La ragazza, un po’ delusa, iniziò a scoprire il carretto.
* * *
Matilde rientrò nella sala messa a nuovo e mentre si sedeva sul trono guardò nella direzione del giovane monaco, sorridendogli impercettibilmente; lui, che recitava orazioni in silenzio, avvampò e guardò a terra. La riunione ricominciò e la donna diede la parola al suo vassallo, che con tono grave espose i propri pensieri: “Avremmo dovuto aspettarcelo. Vostro cugino Enrico non ama mantenere i patti, non conosce il significato della parola lealtà, il suo animo è corrotto e perverso. Quante volte vi ha dato prova della sua ipocrisia?” Fece una pausa, per sottolineare meglio quel fatto, che a suo avviso era inequivocabile. Poi riprese: “Non lo ha cambiato quello che è successo, l’umiliazione subìta in questo luogo. Anzi a mio avviso, se possibile lo ha incattivito, reso rabbioso come un cane. L’orgoglio corrode, Mia Signora... A nulla sono valsi gli accordi con Sua santità il Papa, probabilmente preparava questo attacco da anni.” Con tono fermo e sicuro, Arduino della Palude informò la Marchionissa e i suoi collaboratori dei movimenti delle truppe di Enrico IV. Dietro di lui, il suo seguito di armati appariva impassibile: non avevano in volto alcuna espressione, non tradivano emozioni. Davanti a lui, i membri del consiglio e l’abate, invece, lo guardavano preoccupati: alcuni si torcevano le mani per scaricare la tensione e rimanere lucidi, altri non riuscivano a riflettere e cercavano gli sguardi altrui, speranzosi e in attesa che qualcuno intervenisse. Nessuno aprì bocca. Nel silenzio generale, il vassallo concluse il suo pensiero: “Con tutta l’umiltà concessami, credo sia saggio metterVi al riparo con tutto ciò che potete e al contempo organizzare una buona difesa. Ricordate che sarò sempre al Vostro servizio e Vostro fedele amico.” Il monaco aveva smesso con le sue orazioni silenziose e guardava i presenti dal suo angolino: pareva quasi divertito, anche se sapeva che era peccato non riusciva a smettere di pensare che in quella sala erano in tanti in quel momento a farsela addosso. Vide Arduino chiedere congedo e avviarsi coi compagni verso gli alloggi, fatti preparare in fretta dopo il loro arrivo inaspettato: da bravo uomo d’arme sarebbe rimasto qualche giorno alla rocca per studiare i dettagli delle operazioni, e per stabilire le contromosse; non era la prima volta che si trovava a fronteggiare le truppe imperiali, l’ostinazione di quel tedesco non smetteva mai di stupirlo, e temeva vi sarebbe riuscito ancora per molto tempo. Uscì dalla sala, e nacque immediatamente un lieve brusìo, che si fece man mano più intenso: le sue parole e le notizie che aveva portato avevano avuto il loro effetto tra i consiglieri laici e i chierici, che ora assillavano la Marchionissa con le loro petulanti richieste. Era necessario avvisare subito il Papa della questione e mettersi al riparo nelle fortezze salvando vita e tesori: Matilde appoggiò stancamente la fronte sul palmo della mano e nascose il viso. Il giovane, invece, che aveva lasciato i campi più per fare un piacere ai genitori che per vera vocazione, pensò alla madre e al padre: ultimo di cinque figli, si era conto d’essere una bocca di troppo da sfamare, e aveva scelto la carriera ecclesiastica perchè in fondo lasciava più respiro ai suoi, il duro lavoro già spaccava loro in due la schiena... ma adesso che cosa sarebbe accaduto? Avrebbero perso i campi? Il sostentamento? Dal suo angolo scosse la testa amaramente in segno di disapprovazione, senza essere visto.
* * *
“Questa non è una donna, è un mastino” pensava tra sè e sè Adelaide, osservando donna Brunilde mentre soppesava e valutava la merce. Bassa e tarchiata, dai seni abbondanti e i fianchi potenti, le faceva al solito mille domande sul tipo di pecora usata per la lana, su come questa era stata cardata, sulla filatura e sulla fattura del telaio usato: tutte domande che le parevano inutili, e soprattutto ideate per scovare qualche inesistente difetto e tirare sul prezzo. Sulla qualità dei vestiti confezionati nel suo gineceo e da lei personalmente Adelaide non ammetteva o concedeva dubbi, mai. Anche perchè ammetterli significava perdere guadagno. “La fattura è ottima come sempre, donna Brunilde. Se vogliamo passare al pagamento, ora, mi farebbe assai cortesia” disse con tono gentile ma inequivocabile “devo tornare al mio villaggio”. La donna grufolò qualcosa di incomprensibile a bassa voce, che Adelaide ignorò: non capiva i dialetti stranieri, e Brunilde con quell’accento strano pareva venire da molto lontano, al di là delle Alpi. La vide scomparire dietro a una porta, e tornare dopo un po’ dalla stessa con un sacchettino in mano, che sembrava bello pieno. La fanciulla lo soppesò, lo aprì e ne svuotò il contenuto tra i lembi della gonna, contò le monete diligentemente, e rimase piuttosto soddisfatta. “Bene. Avete chiesto alla Signora se le serve altro, per i prossimi mesi?”. Brunilde si fece scura in volto, fece cenno di no con la testa e sforzandosi di parlare una lingua che non le era famigliare le riportò gli ordini superiori: “Al momento si deve sospendere tutto, ragazza”. Adelaide sgranò gli occhi, sorpresa: che avesse toccato un tasto dolente senza avvedersene? “Ne siete assolutamente certa? L’ha ordinato la Marchionissa in persona?” La donna la guardò e disse, quasi infastidita: “Assolutamente sì, ragazza”. La fanciulla non si diede per vinta: “Sapete dirmi se è a causa di una mia mancanza? Perchè se è così, potrei rimediare..” Brunilde la interruppe brusca: “La guerra, ragazza, la guerra. Non sei tu.” Adelaide si bloccò di colpo. Guerra? “Enrico sta scendendo con le sue truppe, ne hanno portato notizia stamane. Non si sa nulla, solo che bisogna sospendere tutto, e mettersi al riparo”. Di nuovo!? Non si erano stancati?! Questa davvero non se l’aspettava... stupita e furiosa, Adelaide divenne rossa in volto per la rabbia, poi il pensiero volò subito ai suoi cari ed ebbe un tuffo al cuore: il rossore del viso si punteggiò di macchie bianche di paura. Donna Brunilde la vide cambiare colore e addolcì il tono di voce: forse non era così cattiva e brusca come poteva sembrare a prima vista. “Ora và, avvisa la gente del tuo villaggio. Prima che potete spostatevi qui: questa Rocca è sicura, se arrivate entro due giorni lo spazio ci sarà ancora per tutti. Fà in fretta, ragazza”. Si faceva capire quando voleva.
Adelaide si scosse. Raccolse un secondo le idee. La ringraziò e si congedò. Doveva tornare presto, subito. Attese che Brunilde uscisse dal magazzino, si guardò intorno e non vedendo nessuno mise la sacca col denaro al sicuro, nel doppiofondo creato sotto una delle assi del carretto. Di questi tempi non si era mai troppo prudenti. Poi prese le briglie e con l’asinello ripercorse la strada che dal castello portava al suo villaggio. Questa volta non si voltò a guardare la rocca, come faceva sempre: aveva altri pensieri per la testa e comunque quella sarebbe stata la sua dimora dall’indomani, per chissà quanto. Rivide lo spettacolo della Natura che pigramente si stava risvegliando: ora il sole risplendeva alto nel cielo, erano le ore più calde della giornata. I suoi occhi si riempirono del colore verde dei prati e dell’azzurro del cielo, e in tutta quella magnificenza, dimentica di se stessa, si mise a pregare per tutto il resto del viaggio.


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