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Il giorno più bello - Umorismo

 
L’aria frizzante del pomeriggio e il cicaleccio degli invitati si univano al tintinnìo dei bicchieri e alle grida dei bambini che giocavano sul prato. Il banchetto organizzato nel cortile di villa Marozzi, in una splendida e romantica cornice rinascimentale, era davvero sublime, luculliano. I camerieri, alle prese con favolosi e delicatissimi piatti da portata, parevano impazzire e correvano di qua e di là facendo lo slalom tra ragazzetti indemoniati, signore attempate alla ricerca di mariti sperduti, donne single sulla trentina alla caccia di uomini single sulla trentina. Regolare amministrazione.
Laura si guardava intorno un po’ spaesata, ma serena. Eppure odiava le cerimonie e non era un segreto per nessuno: quando mesi fa aveva ricevuto l’invito al matrimonio della cugina, un brivido di terrore le aveva percorso la schiena all’idea di incontrare tutti insieme e tutti nello stesso luogo parenti e conoscenti. Non li vedeva mai e la cosa non le dispiaceva, perchè non riusciva a sopportarli, nessuno escluso. Ogni volta che ne incontrava qualcuno, era la solita storia: le noiose domande trabocchetto su “che cosa fai nella? vita ce l’hai il ragazzo? al lavoro tutto bene?” alle quali lei non aveva mai voglia di rispondere. Il “giorno più bello” nella vita di sua cugina sarebbe stato per lei peggio di qualunque tortura psicologica, ma aveva deciso che avrebbe fatto buon viso a cattivo gioco: dopotutto non aveva nulla da perdere né da guadagnare.
E così era stato: quella mattina, all’arrivo sul sagrato della Chiesa, aveva elargito grandi e generosi sorrisi a tutti, aveva risposto con aria vaga alle domande di rito per le quali si era preparata il giorno prima un breve e laconico discorsetto, aveva soddisfatto le morbose curiosità dei parenti facendosi accompagnare da un caro amico che aveva opportunamente e degnamente istruito perchè recitasse la parte del fidanzatino modello. Laura era raggiante nel suo impeccabile completo estivo color pastello, ma la cosa che trovava più divertente era prenderli per il naso tutti quanti. A quanto pare ci stava riuscendo davvero bene.
Nessuno si era accorto del trucchetto, nemmeno durante la cerimonia vera e propria o durante le prime fasi dell’infinito e pesantissimo pranzo di festeggiamento. Sì, parevano davvero una bella e solida coppia, destinata a durare a lungo. Da questo punto di vista era davvero un peccato che Giorgio fosse gay: un giovane, educato, acculturato omosessuale, elegante e affascinante come Dorian Gray. Ma era proprio questo suo modo di essere che aveva conquistato tutti, e ciò rendeva la cosa ancora più spassosa. Laura e Giorgio si scambiavano spesso occhiate complici, che venivano interpretate come segno di forte intesa e di immenso amore da chi non sapeva di essere canzonato. Era riuscita per lo meno ad aggiungere sale a quell’inutile e frustrante domenica perduta.
“Pensare che avremmo potuto andarcene al mare con la compagnia...” pensava dentro di sé Laura cercando di scansare le conversazioni che la circondavano. Conoscere la composizione della salsa che accompagnava il roast beef non era la sua massima aspirazione, eppure alla signora accanto a lei pareva interessare molto. D’un tratto vide la cugina, sposina novella, avvicinarsi al suo tavolo di buon passo, tentando di non inciampare nello strascico dell’abito bianco: la guardava intensamente sorridendo e le faceva segno di andarle incontro.
“Che vuole poi adesso...?” tremò. Non le era forse bastato lanciarle il bouquet di rose e gigli mirando con infida perfezione direttamente alla sua testa? L’aveva fatto apposta, si era detta, ché lei non avrebbe potuto non agguantarlo con stizza, quantomeno per evitare di farselo piantare in fronte. Un’invitata con un mazzo di fiori che spuntava dal cranio non poteva certo rimanere a una festa di matrimonio, ma avrebbe dovuto recarsi al pronto soccorso: Laura aveva scelto, nel lasso di tempo di un millesimo di secondo, il male minore. Salvo poi pentirsene un minuto dopo, quando i parenti e gli amici avevano iniziato ad applaudirle e a dire in coro “Ma brava! Complimenti alla prossima bella sposina!”. Avrebbe voluto sprofondare, ma solo dopo aver strozzato la cugina coi lacci di raso che tenevano insieme il bouquet.
Laura si alzò e le andò incontro con uno dei suoi migliori sorrisi di circostanza, il più tranquillo e allegro del suo repertorio. Si abbracciarono e la sposa la prese per mano portandola in mezzo al prato fiorito, lontano dai tavoli e dalla confusione.
“Maledetta, adesso mi verrà una rinite allergica così assurda da farmi finire all’ospedale per choc anafilattico!” pensò Laura. Era la seconda volta che rischiava la vita quel giorno, ma non disse niente per non rischiare di offendere la cugina in quell’occasione così speciale: era radiosa, così bella non l’aveva mai vista. Il truccatore era un vero professionista, aveva fatto un ottimo lavoro. Il parrucchiere pure, la coroncina di rose attorno alla crocchia faceva molto Lucia Mondella, ma dopotutto le donava.
“Allora! Che cosa ne dici?” esordì lei, contenta come una Pasqua. Laura non sapeva che dire: da che cosa avrebbe dovuto iniziare? Poteva cominciare il discorso dicendo che la villa scelta per il pranzo era splendida, ma che il patè d’oca faceva schifo e poco ci mancava che le fosse venuto da vomitare. Oppure poteva contestare la scelta di chiamare al suo matrimonio gli amici e i parenti che avessero almeno un figlio sotto i 15 anni a carico, visto il baccano che quei mocciosi stavano facendo da quasi due ore, senza interruzioni né il benché minimo segno di stanchezza. Che altro? Poteva lamentarsi del suo spiccato senso organizzativo nell’assegnare i posti, vista l’insistenza con cui l’energumeno seduto di fronte a lei nel suo tavolo la guardava: fosse stato almeno carino, macché, sembrava l’anello mancante tra un orango e l’uomo di Neanderthal, visto che non riusciva nemmeno a pronunciare una frase di senso compiuto.
Invece le rispose solo: “Sei bellissima!”. E in fondo era vero, lo pensava veramente. Era il contesto ad essere completamente al di fuori delle sue grazie.
“Ti ringrazio! E tu? Quando ti sposi??!” incalzò la cugina. “Ho visto che ti sei presentata con un bel tipo! Chi è?? Da quanto tempo state insieme?”
Con tutta la pazienza e il savoir faire di cui disponeva, Laura raccontò che Giorgio era un suo collega di Università, ma che si frequentavano solo da poco tempo. Lo elogiò per la sua cultura, le sue buone maniere, la sua sensibilità. Infine, tanto per evitare futuri equivoci e per rendere quella risposta più simile a una confidenza tra amiche che a un discorso preparato, disse che non era sicura che la loro storia sarebbe durata. “Sai... siamo molto diversi...” affermò con aria grave. O forse troppo simili, pensò, visto che ad entrambi piacevano gli uomini. La cugina le sorrise comprensiva e iniziò il già sentito sproloquio sul “non ti preoccupare questi dubbi sono normali quando ti sentirai pronta vedrai che sarà tutto più semplice”.
Laura la lasciava parlare osservando meglio le fossette sulle guance mobili, la vita stretta in un corsetto che da qualche parte doveva sicuramente avere delle prese d’aria o qualche sistema idraulico per permettere la respirazione, l’abito lunghissimo che ad occhio e croce poteva essere perfetto addosso a una ragazza alta un metro e ottanta. La sposina non arrivava al metro e cinquanta. Ma dopotutto le donava.
“Poi sposarsi è così bello, è un’esperienza meravigliosa da fare assolutamente!”
A quell’affermazione, Laura iniziò a porsi una domanda. Improbabile che con “esperienza meravigliosa” la cugina intendesse la vita matrimoniale con il marito, visto che non l’aveva vissuta nemmeno in parte: e come avrebbe potuto? Si erano sposati proprio quel giorno. A meno che non avesse la sfera di cristallo e avesse intravisto il futuro, o si fosse rivolta a qualche mago televisivo, non poteva saperlo. Decise di chiederglielo per chiarirsi le idee.
“Scusa se ti interrompo: ma che intendi? Esattamente che cosa è così bello?” disse con l’aria più ingenua e innocente che poteva. Aveva paura della risposta, ma prese il coraggio a due mani e ascoltò quello che la sposa aveva da dire.
“Ma come! Guardati intorno! La festa, i parenti, gli amici, i regali... vorrei che questo giorno non finisse mai! E poi guardami, veh che bel vestito! Mi è costato un occhio della testa ma ne è valsa la pena, non trovi?"
Era accaduto. Laura guardava senza espressione la cugina che piroettava su se stessa in preda a un divino furore mentre metteva in mostra il milionario abito bianco con migliaia di strass, illuminato dai raggi del sole. Sembrava la fatina dello spot in TV delle fette biscottate, le mancava solo la bacchetta magica e il quadro sarebbe stato completo. Quando vide che stava per incespicare nello strascico la trattenne per un braccio evitando la catastrofe, anche se avrebbe voluto volentieri lasciarla cadere per vedere che effetto faceva una fata delle fette biscottate stesa a gambe all’aria sull’erba tagliata di fresco, incredibilmente pericolosa per le macchie verdastre che lasciava sui vestiti. Non credeva alle sue orecchie, eppure era così.
“Per questo la percentuale di divorzi è così alta? Perchè con tutta l’energia che spendono per fare funzionare il giorno del matrimonio non gliene rimane più per tutto il resto della loro vita?” si domandò Laura tra sé e sé. E pensare che nella sua romantica stupidità ripensava spesso alle parole illuminate di Khalil Gibran sul matrimonio e sull’amore: non riusciva proprio a condensare una vita intera con la persona amata in un unico, semplice giorno di chiasso e di allucinazione collettiva qual era una cerimonia come questa, così come veniva concepita.
Per vincere l’imbarazzo che le stava piombando addosso, fece una battuta stupida: “Sì il vestito è davvero bello, ma non lo puoi mica mettere sempre eh? Da domani lo cambierai no?" disse con un sorriso naturale il più possibile.
“Eh sì, mi spiace così tanto, un vero peccato! Pensa che mi sono sposata in Chiesa solo per indossare questo!"
Sposarsi in Chiesa per indossare un abito? In uno sforzo estremo, Laura fece un ultimo tentativo per comprendere la psicologia contorta della cugina, e si disse che le avrebbe posto l’ultima domanda prima di ritornare al baccano dei ragazzini che giocavano attorno al suo tavolo, alle avances dell’homo Neanderthalis seduto di fronte a lei e alle chiacchere, quelle sulla salsa del roasf beef, che ora le apparivano improvvisamente così fresche e interessanti.
“Ma quindi... vuoi dire... che non sei credente?"
E la risposta arrivò, chiarificatrice e conclusiva.
"Mannò, figurati! Io?!? Ma quando mai!"
Un mostro di coerenza. Le due ragazze si diedero un bacio sulla guancia, Laura augurò alla sposa novella ogni bene, ché a suo avviso ne aveva davvero bisogno da qui all’eternità, e tornò da Giorgio che durante la sua assenza non si era perso d’animo: brillante come al solito, aveva tenuto banco con un discorso sul confronto tra le tradizioni alimentari modenesi e quelle reggiane. La signora del roast beef pendeva dalle sue labbra.
Quando si sedette, pallida e sconvolta, Giorgio si avvicinò al suo orecchio e le chiese che cosa fosse successo: “Che c’è? Sembra che tu abbia visto un mostro” disse ridendo.
“Non sai quanto ti sei avvicinato al punto, Giorgio. Non lo sai davvero.”


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