Pelle viola - Tensione |
Immobile e legato a una sedia, un corpo respira piano nell’ombra della stanza arredata in stile Ikea. Una stanza anonima, come ce ne sono tante. Il divano bianco che si trasforma in letto, il tavolino Zen in legno chiaro, le pareti candide che quasi non si vedono, nascoste da poster e quadri e fotografie e cornici. Cornici vuote a incorniciare il nulla. C’è un’attenzione quasi maniacale alle loro distanze: tutte appese a circa tre centimetri le une dalle altre. Tre centimetri, non uno di più. Il silenzio è perfetto, quasi innaturale. Non c’è televisione, non c’è Hi-Fi, non c’è computer: una stanza sobria, asettica, neutra. E un corpo al centro.
Il corpo si muove. Alza la testa, lentamente. E’ cieco e muto, imprigionato da corde avvolte strette intorno allo schienale e ai piedi della sedia su cui è seduto e legato. E’ indolenzito, stordito e sorpreso di trovarsi lì, dove non doveva essere, dove non ricorda di essere mai arrivato. Il suo cuore inizia a battere all’impazzata, e il cervello manda continui impulsi dopo aver fiutato il pericolo. E’ il corpo di una donna.
I lunghi capelli neri, liberi da costrizioni, cadono lungo le spalle, dietro la schiena nuda. Non indossa nulla, tranne le scarpe: un paio di scarpe di alta moda chic, in pelle viola, con tacco a spillo. Le forme si confondono, il fisico longilineo e la pelle bianca, increspata a momenti da brividi di freddo e tensione, è illuminata da un leggero fascio di luce che entra dalle persiane socchiuse. Le dita frementi delle mani si muovono inutilmente alla ricerca del capo della corda che le lega. Sperano di liberarsi, di liberare i piedi, gli occhi, la bocca. D’un tratto si fermano. Le domande si affollano nella mente.
Dove diamine mi trovo? La mia borsetta, dov’è la mia borsetta... il cellulare! Squilla. Avanti, squilla, da bravo. Fammi capire dove sei. Perché non squilli, maledetto bastardo! Che ore saranno, adesso? Perché sono qui? Non mi ricordo, non mi ricordo niente, cazzo!
Le orecchie tese a captare il minimo rumore. Ancora silenzio. Poi spilli. Mille punture di spilli le tormentano le braccia e le gambe. Un fastidio insopportabile, le viene da urlare e da piangere ma non riesce: il gomitolo di stoffa cacciato nella sua bocca, fermato da un nastro adesivo, non glielo permette. Vorrebbe dondolarsi sulla sedia ma ha paura: c’è il rischio di cadere, battere il cranio e perdere conoscenza. Sangue freddo, calma e sangue freddo. Deve mantenere la calma.
Una sensazione strana, quella di aver già vissuto quel momento in un’altra vita. Un dejavù inopportuno. L’odore chimico del petrolio mischiato alla colla del nastro appiccicato alla sua bocca le trapassa le narici e arriva direttamente al cervello, provocandole un leggero stordimento. I neuroni vanno per conto loro, come se avesse bevuto tre bicchieri di vino o sniffato una striscia di cocaina tagliata male.
Ok, ok, pensa: qual è l’ultima cosa che ricordi? Pensa idiota, pensa! Se mi è andato in pappa il cervello sono fottuta!
Lo stordimento lascia spazio ai pensieri. Vaghi, confusi, mischiati come biglie in una sacca di stoffa. Il filo sfugge, si perde nel labirinto della mente. Poi tutto a un tratto, un flash: Sandra vestita come una puttana, che passa a prenderla in auto sotto casa. Il suo profumo forte, il suo nervosismo, il suo rossetto rosso, esagerato e volgare. Qualche parola scambiata in fretta, poi il locale. Le luci psichedeliche, la musica anni Ottanta, il bancone del bar. Il barman che serve un coca e rum, le chiacchere con l’amica. E lui.
L’uomo in giacca che si avvicina a loro. Alto, magro, ordinariamente elegante. Le saluta, offre loro da bere, si siede lì accanto e inizia a parlare. Tra una chiacchera e l’altra, si presenta e butta lì con nonchalance un biglietto da visita. “Sono un avvocato”, dice, con quella voce che non cambia mai tono. Sandra ride, non ci crede. Lui sembra risentito per quella risata inopportuna dell’amica, e comincia a rivolgere le attenzioni solamente a lei. Con fare impostato, quasi studiato, la tratta da regina. Non è particolarmente brillante, non si distingue da altri, ma a lei interessa. E’ lui.
Sandra si congeda e la saluta con un’occhiata complice. Rimangono soli. “Mi accompagni a casa tu? Ero in auto con lei e ora sono a piedi.” Lui annuisce. Qualche bicchiere ancora, una strana sensazione alla testa, il buio.
Un'altra prostituta è stata uccisa nella provincia di Milano. E’ la quarta dall'inizio dell'anno ad oggi. Si chiamava Kristina Badesku, slovena di 23 anni. A scoprire il cadavere è stata ieri mattina la donna delle pulizie che si occupava del suo appartamento. Kristina lavorava in casa, e sembra avesse una clientela di lusso. L'ipotesi del serial killer viene ritenuta dagli inquirenti la più probabile, considerate le modalità con cui le quattro ragazze sono state uccise dall’agosto scorso ad oggi. L'omicida di Kristina, dopo aver seguito la sua vittima in appartamento, l'ha drogata e spogliata lasciandole indosso solo le scarpe. L’ha legata a una sedia, per torturarla con tagli su tutto il corpo, infine, con spietata determinazione, le ha sparato un colpo di pistola alla nuca con un'arma, presumibilmente, di grosso calibro, munita di silenziatore.
L’articolo di giornale riemerge dalla sua memoria come un altro flash, proprio nel momento in cui si apre la porta della camera da letto. L’uomo entra nella stanza con passo tranquillo, richiude la porta alle sue spalle senza accendere la luce.
“Ciao amore. Sono tornato. Non mi aspettavi vero?”
Senza poter rispondere né vedere, la donna inizia a mugolare con rabbia, vuole essere liberata. Ha paura. Vuole parlare, ma lui sembra seguire un copione predeterminato, e come se avessero iniziato un dialogo immaginario, le risponde, senza alzare la voce. Lo stesso tono che aveva durante la serata al locale. Ha fiutato la sua paura. Vuole amplificarla. Per goderne.
“Come sarebbe che ci faccio qui? Lo sai, mia cara. Sono qui per punirti. Lo sai che non mi devi tradire, eppure l’hai fatto. Sei solo una puttana.”
Lei inizia a scuotere la testa con forza, risucchiata nel vortice della finzione. Si dondola a destra e a sinistra, come un pendolo che batte i suoi ultimi rintocchi. Perde l’equilibrio e cade a terra con un tonfo, senza che l’uomo batta ciglio. La benda che le copriva gli occhi si sfila, e la lascia libera di osservare quello che accade. Si guarda intorno. Le si ghiaccia il sangue nelle vene. E’ nel suo appartamento.
Il suo sguardo sorpreso e terrorizzato colpisce l’uomo, che sembra intuire i suoi pensieri. Col solito tono d’attore consumato, la incalza con sarcasmo.
“Hai visto? Ho rimesso in ordine la stanza. Tu non lo fai mai. Pensi solo a scopare.”
E’ un attimo. Lui appoggia sul tavolino una pistola che teneva nascosta dietro la schiena, munita di silenziatore. L’acciaio non fa quasi rumore, attutito dal legno chiaro del tavolino al centro del salottino. E’ già pronta per sparare il colpo mortale. Preciso, pulito, alla nuca. Poi, estrae dalla tasca un coltello a serramanico e la guarda, sorridendole.
“Dopo penserò al tuo amante. Dove lo nascondi? Oh non preoccuparti, lo troverò. So come vanno queste cose, la gente non ha fantasia. Ora è il tuo turno, amore mio.”
Si avvicina con uno sguardo allucinato al corpo legato, sdraiato di lato sul pavimento. Lo prende per i capelli e lo trascina nella posizione di partenza. Il corpo sussulta di dolore e terrore. Lei cerca di gridare, di dire qualcosa, di fermarlo. Con religiosa calma, l’uomo fa scattare il coltello, e le si inginocchia davanti, quasi in adorazione. Avvicina la lama lucente a un polpaccio e inizia a incidere la pelle, piano. Il sangue non esce subito. Con le membra intorpidite, lei non sente nulla, le sembra che la gamba non sia la sua. Poi il sangue inizia lentamente a fuoriuscire dalla ferita, colando giù, sempre più giù, fino alla caviglia.
La porta si spalanca di botto, i cardini cedono all’improvviso. Entrano di corsa cinque agenti con le pistole puntate. Urla concitate, ordini secchi. Una gomitata sul volto dell’uomo, che lascia andare il coltello e si accascia al suolo. Non capisce, è sorpreso, piange. Sandra entra seguita dal medico e si avvicina all’amica, la copre con un cappotto, tenendole la testa e aiutandola a liberarsi dai legacci e dal fazzoletto che le chiude la bocca.
“Laura, tutto ok? Siamo arrivati, vi stavamo tenendo d’occhio! Aspettavamo solo che iniziasse col suo schifoso rituale, il bastardo!”
Laura la guarda sconvolta e stremata, sorridendo debolmente. La vede ancora vestita da puttana, e continua a sorridere. Sembra dirle che in fondo, quel vestito le sta proprio bene. Sente qualcosa di caldo scorrere lungo la gamba, ma è una strana sensazione, quasi estranea, lontana. Libera finalmente di muoversi, guarda dall’alto il taglio su polpaccio. Il medico si china, prende la valigetta di pronto soccorso, disinfetta la ferita e applica un grosso cerotto. Le dice di non preoccuparsi, che andrà via tutto e si cicatrizzerà. In due settimane sarà tutto passato. Laura pensa già ad altro.
“Me la sono vista brutta, Sandra. Me la sono vista davvero brutta, stavolta. Perché ci avete messo tanto?!”
Si stringe nel cappotto, si alza in piedi aiutata dalla collega, che la sostiene con energia. Guarda gli agenti mettere le manette al pazzo che le ha tagliato la gamba. Li osserva mentre lo portano via, caricandolo sull’auto. Il sangue ricomincia a circolarle nelle membra, i muscoli indolenziti e doloranti, di nuovo irrorati, le danno quel senso di rischio, quando le sembra di cadere da un momento all’altro. Si aggrappa più forte a Sandra, e insieme escono dalla stanza. La notte non è ancora finita.
Pare sia stato finalmente arrestato il serial killer che ha insanguinato la città in questi mesi, dopo i quattro efferati omicidi di prostitute. Al momento si trova in stato di fermo presso il Commissariato, e sta rispondendo alle domande degli inquirenti. L’interrogatorio continua, serrato, dalle due di questa mattina. Le prime indiscrezioni confermano che l’uomo è stato colto in flagrante e bloccato da agenti speciali: è un professionista trentacinquenne, sofferente di manie persecutorie e con un divorzio alle spalle. L’arresto è avvenuto grazie alla collaborazione delle agenti L. S. e S. D. che seguivano il caso dalla sua apertura.
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