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Nulla che non va - Eros Riflessioni

 
Non c’è nulla che non va.
Ma non c’è niente che vada bene.

Sarà che sono strana e problematica io, eppure non mi sembra di farmi delle paranoie inutili. E’ cambiato qualcosa, non so ancora esattamente cosa, ma sento che il nostro rapporto è diverso. Probabilmente è dovuto a questa impossibilità che abbiamo di prenderci i nostri momenti, quelli dedicati alla passione e al contatto fisico, che sono importanti. Talmente importanti che ho messo a tacere e a dormire quella parte animale di me, che ora se ne sta buona e calma, come se fosse morta. Anestetizzata.
Il solletico, ecco cosa sento quando mi tocchi. Mi viene da ridere. E il bello è che non c’è proprio nulla da ridere. In fondo credo sia una questione legata al fatto che ho alzato una barriera con l’aiuto del mio caro vecchio inconscio, o subconscio, non mi ricordo quale sia dei due. Faccio sempre confusione con queste definizioni. Comunque il succo è che ho chiuso le porte. Mi sento una vecchia di 80 anni in un corpo che non ne ha nemmeno la metà e davvero, mi è difficile capire come ho potuto ridurmi in questo modo.

Anni fa per reagire facevo sesso. Mi buttavo su chiunque mi piacesse, e mi piacevano praticamente tutti. Beh, non proprio tutti, ma tanti. L’espressione esatta è questa: me ne piacevano tanti. Il bastardo mi faceva soffrire? E allora mi facevo il suo migliore amico. Il suo migliore amico non mi richiamava più? E allora ci pensava un altro a riempire il suo posto. E così via all’infinito. Una rivincita da poco, a ripensarci ora col senno di poi, ma che allora mi dava forza. Ero stupida, ma viva.

Oggi invece che faccio? Sono monogama e saggia. Talmente saggia, che chiudo le gambe, rido, mi giro dall’altra parte e ti chiedo di smetterla se mi tocchi, ché mi fai il solletico.

Come cambia la vita eh?

Dici che dovrei andare dall’analista. Ma io non credo sia quella la soluzione. L’analista ti spilla soldi, ti fa parlare e parlare e parlare e alla fine sei sempre tu che devi risolvere i problemi che hai. Da sola. Eh sì, perché l’analista si fa pagare il tempo che ti dedica, ma quella che arriva alla diagnosi finale sei tu, mica un altro, mica lui. E allora che ci vado a fare? Lo stipendio è poco, se poi devo buttarne via la metà e privarmi del cibo per mantenere uno sconosciuto che non sa nulla di me, preferisco tenermelo e fare da sola.

Privarmi del cibo... non potrei farlo. Eppure sempre più di frequente mi si chiude lo stomaco. Mi viene quasi la nausea se penso ai dolciumi e alle schifezze che mangiavo prima quando stavo bene ed ero in pace col mondo, quando ero in pace con te.

Dicono che il cibo sia molto legato al sesso e viceversa: i due piaceri della vita per eccellenza, insieme all’ozio, che la rendono degna di essere vissuta. E allora non sarà un caso se li rifiuto entrambi. Ricordo ancora la prima scopata che ci siamo fatti nella tua auto: sembravamo i Bonny e Clyde dei poveri, inseguiti dagli amici curiosi che volevano conoscere e disturbare l’evolversi della situazione. Io e te, nascosti nella macchia, chiusi dentro alla Fiat Uno scassata come due topi in gabbia. Alla fine dell’amplesso ti sei fumato una sigaretta e io che ho fatto? Mi sono mangiata il pacchetto di wafer che tenevo in borsetta. Vedi? Scopata e mangiata fanno rima.

E allora perché oggi non riesco a ingurgitare nemmeno il gelato sciolto e mi ritiro come un riccio quando allunghi le tue mani per accarezzarmi? Tu non hai idea. Non hai idea delle fantasie oscene che mi vengono in mente quando sono al lavoro, o alla sera davanti alla TV, o di notte mentre tu dormi di là in salotto. Roba che se te la racconto non ci credi. Se te la racconto ti ci scappa un’erezione.

Fantasie erotiche con donne, uomini, sconosciuti, vibratori giganteschi di tutti i colori, infilati ovunque. Legata, dominatrice, bendata, adorata come una dèa. Ti meraviglieresti della mia immaginazione, e ti assicuro che rimarresti a bocca aperta ascoltando anche solo le descrizioni delle posizioni in cui mi ritrovo a farlo: roba da contorsionisti, roba da matti. Roba da contorsionisti matti.

Allo stesso modo ti meravigli del fatto che io non abbia voglia di fare l’amore con te. Ti rifiuto sempre, sono diventata una donna di ghiaccio. Non proprio, visto che almeno il solletico lo sento: ma quel solletico mi ferisce più che se fossi davvero diventata frigida. Perché mi fa ricordare quello che ero prima e come mi sono ridotta ora. E forse, mi fa intuire quello che diverrò.

Per questo mi chiedo se non mi serva qualcosa di diverso e di nuovo. Qualcuno che riempia quel posto vuoto e vacante che hai lasciato nel nostro letto come amante. Sento che ho necessità di un amante, perché di un marito ne ho già abbastanza. E se tu non lo capisci, peggio per te, per me, per noi. Perché i muri si alzano e continueranno ad aumentare in altezza se non ti decidi a darmi meno per scontata, a corteggiarmi di più, a farmi provare quel brivido che sentivo anni fa quando ti vedevo e subito ti desideravo. O sarò costretta a scuotermi dalla mia pigrizia e cercare una rivincita, come facevo quando ero stupida, ma viva.

Sarebbe un palliativo? Probabile. Ma almeno riuscirei a sentire di nuovo quella linfa vitale che scorre dentro di me e che ha rallentato a tal punto da farmi sentire come un corpo che si muove, ma non sa quel che fa. Un corpo che occupa spazio, ma è trasparente. Un corpo che esiste, ma non vive. Un automa. Lavoro, casa. Casa, lavoro. Casini dell’ultimo minuto da risolvere. Di nuovo lavoro, casa. Forse chissà, ritroverei anche l’appetito.

Che vita squallida.
Sono così saggia, e così morta. A che serve essere saggi quando non si riesce a godere delle bellezze e dei piaceri? Non serve a un bel cavolo di niente.

Diceva Freud, quel porco, che tutto ruota attorno al sesso. Come vedi non sono costretta ad andare dall’analista per sapere questi rudimenti di psicologia. Li sanno tutti. Non sono costretta a spendere soldi, basta andare in biblioteca e prendere in prestito un bel libro. Quasi quasi gli dò ragione, sai? Sono tentata. In fondo questa mia frustrazione non è forse dovuta alla mia vita sessuale immaginata ma inesistente? A questo continuo desiderio di provare nuove sensazioni e all’impossibilità di soddisfarle?

Forse dovrei iniziare a usare la tecnologia. Fare come quelle donne che squillano ai cellulari a caso, parlano con la voce maschile e sconosciuta dall’altro capo, si danno un appuntamento al buio e per godere si fanno sbattere da qualcuno che non rivedranno più. Oppure dovrei cercare su internet, in qualche chat o in qualche zona proibita, se un uomo o una donna sono disposti ad assecondare i miei desideri più intimi e profondi. Ho letto su qualche rivista che lo fanno in tanti. Evidentemente qualche utilità dovranno pure averla questi metodi, no?

Sto farneticando. Eppure devo ammettere che sono lucida nella mia follia. Ma la vera domanda è un’altra. Ci ho girato attorno e alla fine ci sono arrivata.

E’ una domanda che mi faccio spesso. Una domanda di cui sei all’oscuro. Così come delle mie fantasie e dei miei desideri.

Mi chiedo spesso che cosa possa succedere se quella parte di me che ora dorme, quella selvatica e animale, dovesse risvegliarsi all’improvviso. Me lo chiedo continuamente. E mi chiedo se l’analista saprebbe dare una risposta a questo quesito. Ma poi mi ricordo che la risposta sta qua, dentro di me, e mi dico: se dovesse risvegliarsi, peggio per te, per me, per noi. Perché davvero non so che cosa potrei combinare se la parte oscura dovesse di nuovo prendere il sopravvento, come un tempo. Se conquista la sua libertà, non sono sicura di riuscire a ottenerne di nuovo il controllo. E dopo, sarebbero guai, guai seri.

Davvero, non c’è proprio nulla che vada bene.
Ma cerco di far andare alla meglio quello che è rimasto.

E mi domando perché invece di farla con te, questa lunga chiaccherata, l’ho fatta con l’analista: era davvero l’ultima persona che avrei voluto vedere.


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