Confessione di un'adultera - Eros |
E’ stato in quel momento. In quell’esatto momento, quando la tua mano impazzita s’è posata violenta sulla mia guancia, schiaffeggiandola e facendo sanguinare la bocca, lì ho capito. E’ stato quello il momento peggiore. Il momento dell’improvvisa consapevolezza, quella pericolosa, quella che se ne fossi capace, rifiuteresti senza remore.
In quel momento, quando ti sei voltato e te ne se andato adirato, sbattendo la porta, senza dire una parola e lasciandomi sola accasciata sul divano, dentro di me, nella mia testa, nel mio stomaco ho sentito una scossa profonda, straziante. Una scossa terribile che ha liberato un flusso di lava incandescente, e questo flusso ha bruciato le interiora e gli scrupoli e le paure. Tutte le paure, anche quelle più intime e nascoste, quelle che non confesseresti mai nemmeno al prete o all’avvocato.
Quando mi sono alzata barcollando per raggiungere il bagno e chiudermici dentro, ho chiesto a me stessa che cosa sarei diventata se avessi seguito quell’impulso. Quando mi sono guardata allo specchio, il viso gonfio, il livido incipiente, il labbro inferiore tumefatto, col sapore acre in gola del liquido caldo che mi fuoriusciva dalle gengive, ho pianto. E quando ho ripensato a te che mi guardavi con quella cattiveria e quel disprezzo, mentre mi colpevolizzavi di un tradimento che non era mai esistito se non nella tua testa, ho maturato il desiderio di adulterio.
Un desiderio straziante, intenso, un richiamo ancestrale. Un bisogno che mai avevo avuto prima di quello schiaffo, che ha fatto male non alla carne ma allo spirito. Ascoltando questo richiamo, liberando le mie voglie, ho fatto un favore a me stessa ma anche a te. Ti ho reso libero dalla tua follia, e se la prossima volta mi scoprirai mentre scopo qualcuno che non sei tu sul nostro letto, avrai davvero motivo di prendermi a botte, magari darmene tante da mandarmi all’ospedale o al cimitero. Perché tu sei geloso, sì, di una gelosia che sfiora la paranoia. Perché il tradimento è un affronto alla tua virilità. Perché tu sei il maschio che si misura in base a quanto la sua donna lo rispetta. E io sono la tua donna. Ma tu non sai che cosa fa la tua donna quando esci e vai al lavoro, non lo sai ancora.
Il primo è stato un banchiere. Quella mattina sono salita sull’autobus per andare al mercato e lui stava lì, accanto a me. Non era particolarmente bello, ma aveva qualcosa che mi attraeva. Non so che cosa mi ha spinto a farmi più stretta al suo corpo, a lanciargli sguardi di fuoco e a toccarmi in continuazione la bocca e i capelli. Non ricordo il suo nome. Ricordo solo le sue dita che si infilavano sotto alla mia gonna e dentro alle mie carni, nell’oscurità di un portone semichiuso del centro, mentre fuori la gente ignara se ne andava in giro per i fatti suoi. E ricordo il suo sesso, duro e premuto contro il mio ventre teso, desideroso di accoglierlo. L’odore intenso della tintura delle volte, quello acre dello sperma sul mio sedere, che mi entravano nelle narici dilatate mentre mi godeva con furia, li ho scolpiti nella memoria.
Il secondo era così sensuale, che credevo non mi avrebbe mai notata in quella piazza. E invece no. Era giovane ma non troppo, alto ma non troppo, muscoloso ma non troppo. La sua bocca era così piena e carnosa che non ho saputo resistere alla tentazione di morderla e succhiarla. L’ho morsa e succhiata per tutto il tempo in cui mi ha sbattuta contro la grande colonna di marmo poco lontano dal palazzo dei musei, trattenendo i gemiti per non attirare sguardi indiscreti. Era buona e dolce e succosa, mordendola ho sentito il sapore del sangue, che mi ha ricordato quel giorno. Quello dello schiaffo. E’ un afrodisiaco naturale quel sapore, l’ho scoperto in quell’istante. Ero così furiosa che mi sono staccata da lui e l’ho invitato a casa, per finire quello che avevamo iniziato. Non ho fatto in tempo a chiudere la porta, che mi aveva già strappato di dosso i vestiti, penetrato le carni, trattenendomi per i fianchi, spingendo con tutta la foga e il desiderio di me che aveva in corpo.
Il migliore è stato il terzo. Un fanciullo. Gli appena ventenni sono una forza della Natura, non hanno mai pace e non ne hanno mai abbastanza. E lui voleva ricominciare ogni volta appena finito di possedermi. Mi ha resa esausta, ma il ricordo dei suoi movimenti bruschi, a volte inesperti, a volte troppo veloci o troppo lenti mi riempie ancora di tenerezza e di ardore, se ci ripenso. Mi ha fatto venire nostalgia dei miei vent’anni, quando mi lasciavo corteggiare da te, che sei diventato mio marito e che hai dimenticato, col tempo, come fare a rispettarmi, rendendomi inutile come un vecchio oggetto d’antiquariato senza valore.
Il quarto l’ho notato ieri sulla metro. L’avevo già visto un paio di volte prima, ma non vi avevo mai dato troppo peso. Sbagliavo. Oggi lo avvicinerò, conosco i suoi orari, credo che sia un agente o un rappresentante, a giudicare da come va vestito e dalla rapidità con cui risponde al cellulare quando lo chiamano. La sua mano affusolata e ben curata, me la immagino mentre mi strappa gli slip e mi strizza un seno. La sua bocca sempre sorridente, me la immagino rilassata, dopo aver assaggiato il mio sapore, la mia pelle, il mio frutto, dopo il sesso con me. Che cosa mi attira non lo so. So solo che quando la scossa e la lava e il fremito si fanno sentire potenti dentro di me, devo agire.
Non importa dove, con chi. Non so che cosa mi prenda in quei momenti ma non mi sento di giustificare me stessa dicendo che “non sono più io”. Non è vero. Sono io che succhio, io che scopo, io che godo, io che urlo. Sono io che serbo il ricordo sulla mia pelle per giorni, dentro la mia testa per sempre. L’adulterio è un affronto alla tua virilità perché sono la tua donna, perché ti devo rispettare. Ebbene, ormai non sono più la tua donna. Sono solo di me stessa.
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