Requiem - Riflessioni |
Ho come la sensazione di aver già vissuto questo momento. E’ una sorta di dejavù, un segnale che qualcosa non va. Per primo arriva il mal di stomaco. Quella pesantezza che non riesci dapprima a definire, e che poi, piano piano, diventa marmo, quando è già troppo tardi per porvi rimedio.
Le liti si fanno più frequenti, si ritrova piano piano un certo sapore per l’indipendenza, la voglia di vedersi va scemando e ci si ritrova sempre più spesso soli, a casa, davanti alla tv. Senza nessun desiderio tranne che di dormire. Rimane la voglia di fare l’amore, anche se dopo qualche tempo ti rendi conto che anche quello si è trasformato: ti rendi conto infine che è solo rabbia, che si sfoga nel sesso. Pura, semplice rabbia da esaurimento.
Il sesso diventa una valvola di sfogo. Quasi come se servisse a riversare addosso all’altro le proprie energie, per lasciargli tatuato sulla pelle un segno. Il segno che di lì si è passati. Lentamente, vengono a galla tutte le cose che hai evitato. Viene alla luce la frustrazione, quella antica delle cose non dette. E io mi ritrovo qui, nuovamente, a fare il punto della situazione. Come una povera imbecille che ha imbroccato ancora una volta la strada sbagliata, illudendosi di fare bene.
E’ che non ho i mezzi e le attrezzature necessarie, all’inizio di un nuovo viaggio. Quando inizi una storia, non sai come ci arrivi, alla fine. Non sai quello che ti serve. Io vado alla cieca. Seguo l’intuito. Per un po’ tutto va bene, poi inizio a perdere colpi. E anche lui. Il meccanismo che pareva così ben oliato si ingrippa. La novità, che subito dicevi “è quello giusto”, diventa abitudine. E nel letto tutto d’un tratto ti ritrovi accanto a uno sconosciuto, uno che scopa bene, ma se potessi fare a cambio con il lattaio è meglio. O con il collega d’ufficio. O con l’edicolante.
Perché il lattaio, il collega, l’edicolante non li hai ancora provati. Sarebbe una sensazione nuova scoprire che sapore hanno i loro baci, che profumo ha la loro pelle, se sono bravi a farti godere, se sanno usare bene la lingua. Potresti prenderti libertà che per tre anni non ti sei più presa: uscire, rimorchiare in discoteca o in un bar, passare una notte di sesso sfrenato. Così, tanto per fare. Per vivere una serata diversa. Per curiosità. L’esperimento sarebbe interessante, per capire se sei ancora in grado di fare certe cose, come facevi da ragazzina. Per vedere se a trent’anni sei ancora capace di sedurre come a venti, se ti viene più naturale o se puoi anche lasciar perdere.
Il mal di stomaco dei mesi scorsi si è già trasformato in gastrite. E mi chiedo qual è stato il problema che ha portato a tutto questo. Anche le telefonate sono diventate pesanti come macigni. Si discute spesso, troppo spesso si litiga. Anche di cose futili, di cui non frega niente a nessuno. Di cui non frega niente nemmeno a noi. Ma noi, imperterriti, andiamo avanti, graffiandoci con le parole, immersi in una insofferenza che non ha pari.
Mi vuoi scopare? Allora fallo. Strappami i vestiti come le prime volte, dimostramelo che mi desideri. Poi, una volta che mi hai fatto godere e ti sei preso il tuo piacere, vattene. Prendi le tue cose, tutte le tue cose, i maglioni piegati, i pantaloni appesi nel mio pezzo di armadio, il tuo spazzolino, gli asciugamani che ti sei portato da casa, il dentifricio dall’armadietto del bagno, le scarpe sparse per lo sgabuzzino così in disordine che le metti anche spaiate. Prendi i tuoi malumori, le tue paranoie, i tuoi fiumi di parole. Prendi le questioni irrisolte, le serate davanti alle partite della tua cazzo di squadra del cuore e quelle fuori, a fare chissà cosa coi tuoi amici. Prendi la tua chitarra e gli spartiti delle canzoni di Baglioni. Prendi il tuo cappellino di lana adorato, mettici dentro tutti i tuoi pensieri e i sentimenti per me, e infilalo nella valigia assieme a tutte le altre cose che hai sparse nel mio appartamento. Poi, vattene.
Ne ho piene le palle. Anche tu, ma l’ho dovuto dire io. Tu non ne hai avuto il coraggio. Forse perché la tua innata e ancestrale paura di rimanere solo in mezzo a una strada, senza una donna che ti coccoli, ha avuto sin’ora il sopravvento. Torna dai tuoi, e stacci. Non ne voglio più riparlare. Fidati, non ne vale proprio la pena.
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